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Inaugurata al House of Music di Budapest

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Nella capitale ungherese il progetto firmato Sou Fujimoto Architects propone un’originalissima rivisitazione del rapporto tra suono, luce e natura.

La città già polo culturale per la musica classica e popolare, con la House of Music proporrà un programma di musica dal vivo, mostre, programmi didattici ecc. I visitatori saranno immersi in un ambiente totalmente permeabile e filtrato, riflesso delle prospettive verso cui va la produzione musicale e l’aspetto naturalistico ne è una parte fondamentale. Per la sua inaugurazione sono state già predisposte una mostra permanente dedicata alla musica europea e la prima mostra temporanea dedicata al pop ungherese tra gli anni ’50 e gli anni ’90.

L’edificio si trova nel più grande parco cittadino e si estende per circa 9.000 metri quadrati prendendo il posto degli ex uffici di Hungexpo, perfettamente integrato nel suo contesto costituisce per i progettisti un prolungamento del parco stesso. Si inserisce nell’ambito del Progetto Liget Budapest, lo sviluppo culturale urbano più ambizioso e pluripremiato d’Europa. La trasparenza dell’edificio è resa grazie all’impiego di una cortina di vetro, 94 pannelli termoisolanti, alti fino a 12 m.

Dal punto di vista impiantistico un ottimo livello di efficienza energetica è garantito da un sistema di riscaldamento e raffrescamento di tipo geotermico; quindi, sfrutta le fonti rinnovabili per soddisfare il fabbisogno energetico dell’edificio ed e criteri per l’ottenimento della certificazione Breeam.

La copertura presenta all’intradosso una decorazione a foglie d’albero, circa 30.000, insieme formano una trama a nido d’ape da 1.000 elementi. Allo stesso tempo all’estradosso la particolare geometria dell’edificio richiama l’andamento delle onde sonore, pur non sovrastando le chiome del parco circostante. I fori che discretizzano la copertura, di forma variabile, simulano l’ombreggiatura delle chiome degli alberi e permettono alla luce di entrare in ogni ambiente. Il progettista ha infatti raccontato:

“Siamo rimasti incantati dalla moltitudine di alberi nel parco cittadino e ispirati dallo spazio da loro creato, Mentre la fitta e ricca tettoia copre e protegge l'ambiente circostante, consente anche ai raggi del sole di raggiungere il suolo. Ho immaginato la pianta aperta, dove i confini tra interno ed esterno si confondono, come una continuazione dell'ambiente naturale".

Articolato su tre livelli, come i tre movimenti di una partitura musicale e vede al di sotto della grande cupola, al piano terra, la sala da concerto ed un palcoscenico all’aperto, al livello superiore gli spazi dedicati all’apprendimento, infine al piano seminterrato vi sono le mostre.

L’edificio si connota anche come una rivisitazione del museo del XXI secolo, ponendo come base filologica del progetto anche l’esperienza del compositore Karlheinz Stockhausen, ovvero un’esperienza uditiva a 360 gradi, presentata ad Osaka nel 1970 in occasione dell’Esposizione Universale. La cupola emisferica in questione, infatti, emette audio surround da ogni direzione.


The Greenary, il verde al centro dell’architettura

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Un albero di fico alto 10 metri è al centro del progetto di una villa privata di Italo Rota e Carlo Ratti Associati. Nel contesto della campagna di Parma The Greenary è il perfetto connubio tra architettura e natura.

La residenza, di proprietà di Francesco Mutti, amministratore delegato della Mutti – Industria Conserve Alimentari, era originariamente una vecchia casa colonica. Il nome The Greenary deriva dal gioco di parola tra verde ed un antico granaio nella tenuta di 2,5 ettari che è stato rifunzionalizzato come spazio di lavoro. I due volumi sono separati da un giardino che valorizza la biodiveristà territoriale progettato da Paolo Pejrone.

Ma il cuore del progetto è Alma, così è stato chiamato il ficus australis che si innalza in uno spazio a tutta altezza in cui la trasparenza e la luce la fanno da padrone, la parete rivolta a Sud è infatti alta ben 10 metri. Particolare attenzione hanno richiesto le tecnologie microclimatiche e di controllo termico e dell’umidità per poter garantire all’albero, ma anche agli abitanti, un’ambiente confortevole. La zona giorno si trova ad un metro sotto il livello zero ed è un open space che coniuga cucina e zona living, tutto attorno all’albero. Carlo Ratti racconta:

"L'architetto italiano del XX secolo Carlo Scarpa una volta disse - Tra un albero e una casa, scegli l'albero -. Mentre mi trovo in sintonia con il suo sentimento, penso che possiamo fare un passo avanti e mettere insieme le due cose. Gran parte del lavoro di CRA si concentra sull'intersezione tra il mondo naturale e quello artificiale. Con The Greenary, stiamo cercando di immaginare un nuovo paesaggio domestico costruito intorno alla natura e al suo ritmo".

Il duo Ratti - Rota già noto per il successo del Padiglione Italia all'EXPO Dubai 2020, ha perseguito l’idea della biofilia, quella teoria secondo il quale gli umani hanno un innato bisogno di essere a contatto con la natura. Tale linea di intervento è perseguita sin nei dettagli e nella sperimentazione di pavimentazioni costituite da terra e bucce d’arancia. Rota ha inoltre dichiarato:

"In un paesaggio pianeggiante in cui non ci sono montagne, colline o laghi, ma solo pianura, la natura si esprime attraverso una bella luce che cambia durante il giorno. Aggiunge un'atmosfera affascinante, quasi da film. Le condizioni ambientali intorno al Greenary hanno ispirato il nostro design e questa rappresenta una delle diverse espressioni che usiamo per illustrare l'armonia tra elementi naturali e artificiali".


La Pilotta, una rivoluzione per gli istituti museali di Parma

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Oggetto di un progetto di rigenerazione dell’esistente è il singolare complesso monumentale emiliano, costituito da ben 5 istituti museali, punto di riferimento culturale a scala europea.

Si tratta del Teatro Farnese, della Biblioteca Palatina, della Galleria Nazionale, del Museo Bodoniano e del Museo Archeologico uniti sotto il nome di un’istituzione autonoma dal 2017.

Alle origini era sede dei servizi della corte dei Farnese, quale integrazione delle residenze ducali, un progetto del 1583, durante gli ultimi anni del ducato di Ottavio Farnese (1547-1586) su progetto dell’urbinate Francesco Paciotto. Si tratta di una vera e propria cittadella, con un articolato sistema di corridoi e cortili interni con scuderie, caserme, una sala d’armi. Il complesso prende il nome dal gioco nobiliare della “pelota” che si svolgeva nei suoi cortili in particolari occasioni di rappresentanza.

Nello stesso anno a guidare un innovativo ed articolato cantiere fisico e delle “idee” per il Pilotta è lo storico dell’arte Simone Verde, che così descrive il complesso alle porte del nucleo storico della città:

“Una delle rarissime sopravvivenze degli esperimenti che, a cavallo tra XVI e XVII secolo, condussero all’invenzione moderna del museo, il complesso si andò organizzando attorno a un gabinetto ducale, a collezioni librarie di corte e a una sala d’armi trasformata in seguito in teatro, arricchita da uno scalone monumentale dall’alta dimensione teocratica”.

Uno degli obiettivi primari era quello di valorizzare l’integrazione del Pilotta con il contesto territoriale ed al tempo stesso di elevarlo ad istituzione di valenza internazionale secondo una serie di operazioni integrate e parallele quali restauri, riallestimenti, acquisizioni ed adeguamenti.

Di fondamentale importanza è stata dunque anche la collaborazione con le istituzioni locali, imprenditori, associazioni e con le testate giornalistiche locali. La stessa fusione delle istituzioni museali, più che un’operazione burocratica, ma è un’operazione che mira ad unificare la percezione stessa del polo quale unica entità, o come meglio spiega Verde:

“È stata l’opportunità per riscoprire, attraverso la ricucitura filologica dei vari istituti, l’ottica intellettuale originaria con cui le raccolte sono state costituite, per poi essere smembrate verso la fine dell’Ottocento secondo le logiche ‘per generi’ – architettonici, librari, artistici – tipici della metodologia positivista”.

Uno dei primi interventi ha riguardato gli spazi di connessione del complesso, nello specifico lo scalone monumentale è stato restaurato e sono state realizzate delle biglietterie, al contrario per il vestibolo del teatro l’ex biglietteria ed un magazzino sono stati restaurati e trasformati in sale espositive. Il parcheggio che si trovava nel cortile esterno della Cavallerizza è stato eliminato e l’area riqualificata. Altro intervento ha come fil rouge la riconnessione tra il contenuto ed il contenitore, sono stati infatti rimossi i vetri oscuranti per lasciar posto a chiusure che non urtino la vista interna dell’edificio, ed è stato riportato alla luce il soffitto ligneo del Museo Archeologico. Infine, l’ordinamento delle sezioni ha richiesto un’attenzione particolare, le sezioni partono dal paleolitico per arrivare al tardo antico, passando poi per la Galleria si arriva al romanico ed in ultimo al gotico.


Tanzhaus Zürich, una monumentalità sentimentale.

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La scuola di danza e centro culturale Tanzhaus di Zurigo torna a vivere con il progetto di Barozzi Veiga definendo nuovi connotati per il lungofiume.

L’edificio era andato distrutto a causa di un incendio nel 2012, successivamente nel 2014 è stato bandito un concorso internazionale, promosso dall’ente committente Eigentümerin Immobilien Stadt Zürich, vinto dai due architetti Fabrizio Barozzi e Alberto Veiga per un budget di approssimativamente 12.960.000 €.

Si estende per circa 1.500 metri quadrati e costituisce un esemplare caso di ricucitura del tessuto urbano, le aperture trapezoidali, i pieni e i vuoti enfatizzano il rapporto dell’edificio con il contesto, integrando perfettamente il nuovo con il vecchio. Come affermano i progettisti:

“La scelta della forma trapezoidale delle aperture è il risultato di una rivisitazione del tradizionale sistema ortogonale di pilastri, travi e finestre rettangolari. Una forma, quella del trapezio, a cui si è arrivati come sintesi tra la passeggiata lungo la riva e la passeggiata del foyer”.

Si sviluppa su due livelli e gli ambienti affacciano sul portico discretizzato, al piano inferiore sono sistemati una serie di ambienti di servizio: una sala ricreativa, uffici, guardaroba ecc. al piano superiore invece, si sviluppano gli ambienti principali dell’edificio. Un secondo porticato, arretrato rispetto a quello inferiore, ospita il foyer con caffetteria su cui affacciano l’auditorium per spettacoli, due sale di produzione, ed una sala prove oltre che a ulteriori servizi e locali tecnici. La grande permeabilità tra estero ed interno non si sottrae tuttavia al mantenimento degli standard climatici dell’edificio.

La facciata strutturale, spessa 68 cm, realizzata con cemento isolante nella sua essenzialità permette da un lato di proteggere il nucleo interno, prescindendo dall’impiego di sistemi oscuranti, e dall’altro di connotare, attraverso il susseguirsi dei trapezi, la sponda del fiume Limmat. Ulteriore espediente per limitare il passaggio delle radiazioni solari è la piantumazione di piante rampicanti che nella stagione invernale diradandosi, permettono alla luce solare di entrare e nella stagione estiva di mantenere i valori normativi.

La realizzazione durata tre anni termina nel 2019 riaprendo finalmente al pubblico quella che è un’istituzione per il mondo della danza contemporanea.


Il Padiglione Italia per EXPO Dubai, tra consensi e critiche

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È aperto dal 1 ottobre il discusso Padiglione Italia per l’Expo di Dubai 2020. Il progetto di Carlo Ratti, Italo Rota, Matteo Gatto e F&M Ingegneria è senz’altro uno dei più grandiosi. L’Expo sarà visitabile fino al 31 marzo 2022.

La critica si è scagliata soprattutto contro l’esuberante copertura che non rappresenterebbe a pieno lo spirito italiano. Questa è stata realizzata impiegando tre scafi da imbarcazione, la cui lunghezza va dai 40 ai 50 metri, e che potrebbero essere riutilizzati in mare una volta terminato l’evento. L’obiettivo è quello di materializzare “l’anima navigante” degli italiani a contatto con il cielo. Allo stesso tempo la realizzazione in stampa 3D del David di Michelangelo con la parte bassa del busto nascosta ha destato diverse perplessità.

Certamente resta una delle architetture più riconoscibili tra i padiglioni realizzati per l’Expo e si presenta come una sperimentazione di una architettura riconfigurabile e di design circolare, nonché un’interpretazione del secolare dualismo: naturale e artificiale. Così come afferma uno dei progettisti, Carlo Ratti:

"Il nostro progetto per il Padiglione Italia si occupa di quella che è probabilmente la maggiore sfida dell’architettura di oggi: esplorare la doppia convergenza tra naturale e artificiale. Questo ci consente di prefigurare e suggerire strategie che saranno sempre più cruciali nel futuro delle nostre città, mentre affrontiamo le conseguenze dell’attuale crisi climatica”.

La facciata, non meno iconica della copertura, è espressione del legame tra multimedialità ed ecosostenibilità, la parete viene annullata in virtù di un intreccio verticale fatto di corde nautiche che insieme raggiungerebbero i 70 km di lunghezza, si sfrutta inoltre un avanzato sistema di mitigazione del clima in sostituzione dell’aria condizionata. Anche in questo caso, una volta terminato l’evento, le corde potranno essere riutilizzate, nell’ottica dell’economia circolare. Di qui la sua essenza riconfigurabile, Italo Rota descrive infatti così il progetto:

"Il padiglione muta continuamente e parla di riconfigurabilità sia nel lungo termine, grazie all’approccio circolare, sia nel breve termine, grazie all’uso di tecnologie digitali. Il Padiglione Italia ha grandi dimensioni e una struttura molto sofisticata, ma più che un’architettura nel senso canonico è una grande installazione sperimentale dedicata ai confini ormai sfumati tra Naturale e Artificiale. La sua costruzione si ispira allo stesso tempo ai biotipi naturali e alle tecnologie più avanzate che derivano dalla ricerca spaziale. Da un lato, l’edificio guarda all’organizzazione delle foreste tropicali, dove la luce filtra da un’alta copertura e la vita è organizzata di conseguenza.” Nel suo complesso l’edificio occupa circa 3.500 metri quadri e sfrutta nuovi materiali come le alghe, i fondi facce, le bucce d’arancia, la sabbia ecc. “un tema cruciale” aggiunge Italo Rota, “ è la produzione di neo-materia: nuovi materiali da costruzione di origine organica e biologica, la cui produzione tecnologica non è da confondere con il riciclo. Essendo il padiglione concepito secondo un approccio circolare, si può pensare a questa neo-materia come materiale che possono potenzialmente essere riutilizzati ovunque, con modalità e finalità diverse. Il Padiglione Italia rappresenta quasi una sorta di architectural banking: un catalogo da cui scegliere gli elementi di architetture future".

A partire dal piano terra troviamo una caffetteria, la Solar Coffe Garden di CRA e Italo Rota. Il David è collocato invece nel cosiddetto Teatro della Memoria, vi è poi il Belvedere, una installazione circolare la cui cupola di copertura è costituita da piante selvatiche della macchia mediterranea. Gli spazi più espressamente dedicati alla ricerca tecnologica vedono una serie di installazioni fatte di effetti luminosi: l’Innovation Space, il Second Sun e Second Moon.

Il Padiglione Italia è stato inoltre premiato come miglior progetto imprenditoriale dell’anno per i Construction Innovation Awards negli Emirati Arabi.